In principio era Venezia, in fine fu
solo l’inizio di una nuova era per il Veneto Indipendente. Ho riflettuto
a lungo se porre quanto seguirà in lingua veneta o italiano, ma dato
che deve essere fatta la mia volontà e la volontà di tutti coloro che
leggeranno, opterò per l’italiano corrente.
Non indugio nel definire certe
corbellerie da avanspettacolo (teatrino della politica italiana) alcune
affermazioni di sedicenti autogoverni che si arrogano prerogative sopra
il popolo veneto, affermando senza cognizione di causa e tempo, che
l’abdicazione del maggior consiglio in data 12 maggio 1797 (el tremendo
zorno del dodexe, come definito da molti storici), non solo sia da
considerarsi legale, ma addirittura la municipalità democratica
successivamente creatasi, fosse non solo la continuazione del regime
precedente, ma Napoleone (l’infame), fosse addirittura l’ultimo vero
Doge! Sacrilegio e orrore dell’ignoranza plebea, che non smette mai di
creare revisionismi storici secondo natura personale e improbabili
progetti politici debosciati.
Pur non riscontrando favori e aiuti dal mondo universitario, mi sono messo nella questione “abdicazione e numero valido”,
per cercare una prova concreta sulla questione. In base a questi
revisionismi politici, erano negate tutte le fonti che facevano
riferimento a un numero minimo di votanti per convalidare l’abdicazione
del Maggior Consiglio. Questi personaggi (per altro discutibili anche
nella loro libera interpretazione del diritto internazionale e
italiano), dichiaravano che le fonti in questione erano pura invenzione
risorgimentale e romantica della Venezia passata. A loro sostegno
riportavano il nome di un solo storico (tra l’altro appartenente alla
classe patrizia) che mai avrebbe convalidato una siffatta dichiarazione
(Napoleone ultimo doge) se non per comprensibile demenza senile (sebbene
non ancora riscontrata).
Mi sono quindi posto, con tanta pazienza
e discernimento personale alla ricerca di fonti e documenti che
convalidassero l’illegittima abdicazione del Maggior Consiglio. Questo è
quanto da me trovato tra archivi, biblioteca personale e ricerche in
internet. Le dispongo di seguito per punti:
1- La compilazione delle leggi del Maggior Consiglio si trovano all’inventario N° 85 A.S.V
2- Ho consultato la busta N° 240 e la
busta N° 2 serie II°. Nella prima busta niente di interessante, nella
seconda sono presenti le indicazioni delle leggi dal 1275 al 1780 e sono
veramente tante. Mi sono soffermato sulla busta DECRETI MAGGIOR
CONSIGLIO IN MATERIA DI ELEZIONE dal 1280 al 1307. I decreti sono
moltissimi tutti in latino e non ho avuto il tempo di leggerli tutti.
3- Nella Enciclopedia Treccani sulla
STORIA DI VENEZIA edito in numerosi e compiosi volumi, si legge al
volume N° 8 a pag. 271 che il numero dei patrizi minimo in Maggior
Consiglio era fissato a 600, nella votazione del 12/05/1797 mancava il
numero minimo legale.
4- Nel libro; MISCELLANEA DI STORIA
VENETA edita per cura della R. deputazione Veneta di storia patria a
Venezia a spese della società in data 1917 serie terza tomo XII pag. 174
si legge quanto segue:
“Il venerdì 12 maggio si adunava
dunque il Maggior Consiglio. Per deliberare intorno a DECRETI DI MASSIMA
occorreva l’intervento di almeno 600 patrizi, e in quel giorno non ve
n’erano che 537; adunanza dunque illegale, ma in quelle condizioni a
tutto si passava sopra, e il doge Lodovico Manin, piangente e tremante
di paura poteva leggere il Decreto con cui veniva adottato il governo
rappresentativo, sempre che con questo si fossero incontrati i desideri
del Bonaparte. Il Segretario del Maggior Consiglio Valentino Marini,
salita la tribuna de Consiglieri leggeva il decreto, che messo ai voti,
passava con 512 suffragi favorevoli, 20 contrari e 5 non sinceri. Così
miseramente terminava la Repubblica Aristocratica ecc..
Si trova scritto quanto segue:
Il 1° maggio 1797 si riuniva il Maggior Consiglio, che con 598 voti favorevoli, contro 14 astenuti e 7 contrari, decideva di autorizzare i deputati a discutere il cambiamento della forma di governo. Il giorno 12 maggio, in nuova riunione del Maggior Consiglio, pur mancando il numero legale - 537 membri su 600 erano richiesti nel caso di decisioni gravi — si deliberava che «[...] questo Maggior Consiglio [...] adotta il sistema del proposto provvisorio rappresentativo governo, sempre che con questo si incontrino i desiderii del generale medesimo» (17). Il risultato fu 512 voti a favore, 30 contrari e 5 astenuti. Il 13 maggio 1797 veniva proclamata la Repubblica democratica di Venezia. Un decreto del Maggior Consiglio spiegava il «suicidio» della Repubblica. Il potere, avuto dal popolo – secondo le teorie contrattualistiche del secolo -, era restituito al popolo, perché il Maggior Consiglio stesso era convinto di non poter più operare per il bene della gente. Si trattava di una formula che garantiva la continuità della Repubblica, ma che rifiutava la identificazione della medesima con ogni forma di aristocrazia. Napoleone Bonaparte ordinava subito al generale Louis Baraguey d’Hilliers (1764-1813) di entrare in Venezia con le truppe francesi. I rappresentanti della Municipalità votavano all’unanimità l’unione alla Repubblica Cisalpina ed indicevano un plebiscito di ratifica per il 28 ottobre 1797. Quel giorno nelle parrocchie di Venezia si votò per il nuovo consiglio della Repubblica sotto la vigilanza della guardia nazionale. Una pallina bianca immessa nell’urna significava rispondere «sì» alla domanda «Se il popolo di Venezia voglia attendere, nell’oscurità e nel silenzio, il destino che lo minaccia» (18), mentre una pallina verde significava dare parere affermativo al quesito «Se giurar voglia di sostenere la libertà della sua patria, de’ suoi figli, e della sua posterità» (19). Risultato: votanti 23.568, di cui 10.843 per l’attesa «nella oscurità e nel silenzio», 12.725 per «sostenere la libertà». Il plebiscito a favore della democratizzazione vinceva dunque con 1.900 voti di differenza. I corrieri che erano partiti per Milano per portare i risultati venivano fermati dai francesi e rimandati a Venezia.
Il 1° maggio 1797 si riuniva il Maggior Consiglio, che con 598 voti favorevoli, contro 14 astenuti e 7 contrari, decideva di autorizzare i deputati a discutere il cambiamento della forma di governo. Il giorno 12 maggio, in nuova riunione del Maggior Consiglio, pur mancando il numero legale - 537 membri su 600 erano richiesti nel caso di decisioni gravi — si deliberava che «[...] questo Maggior Consiglio [...] adotta il sistema del proposto provvisorio rappresentativo governo, sempre che con questo si incontrino i desiderii del generale medesimo» (17). Il risultato fu 512 voti a favore, 30 contrari e 5 astenuti. Il 13 maggio 1797 veniva proclamata la Repubblica democratica di Venezia. Un decreto del Maggior Consiglio spiegava il «suicidio» della Repubblica. Il potere, avuto dal popolo – secondo le teorie contrattualistiche del secolo -, era restituito al popolo, perché il Maggior Consiglio stesso era convinto di non poter più operare per il bene della gente. Si trattava di una formula che garantiva la continuità della Repubblica, ma che rifiutava la identificazione della medesima con ogni forma di aristocrazia. Napoleone Bonaparte ordinava subito al generale Louis Baraguey d’Hilliers (1764-1813) di entrare in Venezia con le truppe francesi. I rappresentanti della Municipalità votavano all’unanimità l’unione alla Repubblica Cisalpina ed indicevano un plebiscito di ratifica per il 28 ottobre 1797. Quel giorno nelle parrocchie di Venezia si votò per il nuovo consiglio della Repubblica sotto la vigilanza della guardia nazionale. Una pallina bianca immessa nell’urna significava rispondere «sì» alla domanda «Se il popolo di Venezia voglia attendere, nell’oscurità e nel silenzio, il destino che lo minaccia» (18), mentre una pallina verde significava dare parere affermativo al quesito «Se giurar voglia di sostenere la libertà della sua patria, de’ suoi figli, e della sua posterità» (19). Risultato: votanti 23.568, di cui 10.843 per l’attesa «nella oscurità e nel silenzio», 12.725 per «sostenere la libertà». Il plebiscito a favore della democratizzazione vinceva dunque con 1.900 voti di differenza. I corrieri che erano partiti per Milano per portare i risultati venivano fermati dai francesi e rimandati a Venezia.
6- Le Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, che parla appunto del tremendo giorno del 12/05/1797 e la caduta della Repubblica si trova scritto:
“Il primo maggio colla mia toga e la mia perrucca io entrai nel Maggior Consiglio a braccetto del nobiluomo Agostino Frumier, secondogenito del Senatore. Il primo apparteneva al partito di Pesaro e sdegnava far comunella con noi. Quel giorno il consesso era scarso; appena giungeva al numero di 600 votanti senza il quale, per legge, nessuna deliberazione era valida”.
“Il primo maggio colla mia toga e la mia perrucca io entrai nel Maggior Consiglio a braccetto del nobiluomo Agostino Frumier, secondogenito del Senatore. Il primo apparteneva al partito di Pesaro e sdegnava far comunella con noi. Quel giorno il consesso era scarso; appena giungeva al numero di 600 votanti senza il quale, per legge, nessuna deliberazione era valida”.
7- Cappelletti – Storia della
Repubblica di Venezia ed. Antonelli stamp. 1855 in 13 volumi ( nella mia
libreria) al vol. 13 trovo scritto ( mi ero anche dimenticato di avere
questa opera in libreria… gravissimo !!!) pag. 307 CAPO XII … PER
LEGGE FONDAMENTALE DELLA REPUBBLICA, DOVEVA IL MAGGIOR CONSIGLIO, OGNI
QUAL VOLTA TRATTAVASI DI AVERE A PRONUNZIARE DELIBERAZIONE DI MASSIMA,
TOCCARE IL NUMERO DI SEICENTO RADUNATI; ALTRIMENTI LA DELIBERAZIONE ERA
ILLEGITTIMA E NULLA.
8- HISTOIRE DE LA REPUBLIQUE DE VENISE TOME VII Par P. DARU DE L’ACADEMIE F. troisiéme ed. data 1826 pag.186 livre XXXVIII.
12 mai 1797 XI – Enfin, le 12 mai,
le grand-conseil fut convoqué. Il ne s’y trouva, dit-on, que cinq cent
trente-sept personnes. On a vu que, dans les affaires
importantes, le grand-conseil ne pouvait délibérer s’il n’y avait au
moins six cents membres présents: ainsi la séance dont il s’agit n’était
pas légale. Le doge, troublé et tremblant, parla avec une éloquence
pathétique de la situation de la patrie. On lut un rapport prolixe des commissaries; ensuite un orateur entreprit de développer les propositions.
Dopo tanta ricerca e fonti riscontrate
ero arrivato ad un punto morto. Nessuna delle fonti trovate rimandava a
questa legge fondamentale per la quale i decreti massima su materia
grave (i nostri “decreti-legge”, per aver un termine di paragone con il
diritto italiano) dovevano essere votati da un numero minimo di patrizi
veneti (bisognerebbe dire veneziani, l’unica classe politica della
Serenissima che faceva politica), pari a 600 (quorum).
Per sbrogliare la matassa dell’umana
comprensione sulla mia testarda e caparbia ricerca, ho dato un letta a
uno degli ultimi libri del carissimo avvocato Cacciavillani: “Venezia e la terraferma. Un rapporto problematico e controverso”.
Nel medesimo il numero paventato dal Cacciavillani erano 800 votanti
(non 600) per ritenere la votazione legittima. Questo mi ha messo un
ulteriore dubbio che dopo un attenta ricerca mi ha portato alla
risoluzione dell’annosa questione.
Ho fatto una ulteriore ricerca in
internet e finalmente – eureka ! – la soluzione. Nei PRINCIPI DI STORIA
CIVILE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA DI VETTOR SANDI NOBILE VENETO al
VOL. 7 Dall’anno di N.S. 1700 sino all’anno 1767 (osservasi principio
del libro nella foto), si trova scritto quanto segue:
“Il secondo tempo fu l’anno
1704; epoca di legge più grave; che cioè nella materia presente non
s’abbia mai ad intendere dichiarata la volontà del Maggior Consiglio, se
non sia adunato al numero di 800; e sia preso da 600. voti il Decreto, o
da due terze parti di voti non sinceri.”
Si desume quindi, che per una votazione
in materia di gravità (attuale necessità ed urgenza), non solo fossero
necessari 600 voti sinceri (validi) per far passare il decreto (come
riportato de tutte le fonti storiche sopra citate), ma che sarebbero
serviti anche 800 patrizi presenti affinché la votazione potesse essere
riconosciuta come volontà espressa (quindi valida). Questo prevedeva la
legge del 1704 in materia di legge grave (“decreto-legge”). D’altronde
solo negli ultimi anni della Serenissima si era assistito ad un numero
esponenziale di patrizi e di nuove famiglie ammesse (spesso dietro il
soldo, per rimpinguare le casse dello stato), al Maggior Consiglio. La
prova indiretta viene dalla quantità di patrizi barnabotti (si trattava
di quei patrizi che, pur avendo perduto molte delle loro disponibilità economiche, continuavano di diritto a mantenere il seggio in seno al Maggior Consiglio) molto sensibili a fenomeni di compravendita dei voti.
Questo è quanto da me trovato e
analizzato, mi riserverò di rendere pubblica e nota a tutti il testo
completo della legge del 1704 in materia di legge grave. Un cordiale
saluto a quanti leggeranno e a tutti coloro che credono e crederanno
sempre nella verità delle ricerca storica, e mai al revisionismo storico
fatto dagli uomini.
1797 W San Marco pro ut i veteri
N.H. Alessio Bettio
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