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lunedì 7 giugno 2010

AVOGADOR RENZO FOGLIATA AL GAZZETTINO DEL 7 GIUGNO 2010

L'INTERVISTA DELL'AVOGADOR RENZO FOGLIATA AL GAZZETTINO DEL 7 GIUGNO
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Oggi alle 17.26
Appassionato e studioso di storia, ma soprattutto avvocato. Difensore veneziano di due "Serenissimi", Renzo Fogliata ha vissuto il processo Ludwig e i processi alla mala del Brenta.
Avvocato Fogliata, sono passati tredici anni e un mese dall’assalto al campanile di San Marco. Ce ne sono voluti 10 per fare assolvere i "Serenissimi"...
«Sì, un organo collegiale e popolare come la Corte d’assise ha capovolto le tesi delle Procure di Padova, Verona e della Procura Generale di Venezia. Del resto è la forza del contraddittorio tra accusa e difesa e della giuria popolare, in cui io credo fermamente. Il giudice monocratico è un retaggio del feudalesimo».
Anche la Repubblica Veneta si fondava sui giudizi della collegialità...
«Il feudalesimo sanzionava la potenza individuale e solitaria, la forza personale. E come tutti sanno Venezia non lo ha mai accettato. La Serenissima non concedeva diritti e privilegi sovrani al singolo. Più giudici, ancor meglio se popolari, giudicano secondo la legge guidati dal buon senso e dal senso di giustizia».
La prova?
«L’assoluzione dei Serenissimi giudicati in fatto e diritto da una giuria: non terroristi, non colpevoli di eversione. Di fatto non c’era un progetto eversivo, ma solo un progetto rivendicativo di un diritto riconosciuto dallo Stato, l’autogoverno del popolo Veneto, che è legge costituzionale. L’obiettivo dei Serenissimi, scritto nei loro proclami, era ed è un Veneto indipendente, quantomeno in una Confederazione italiana. Rivendicare questo, non è sovversivo, e se lo è, come scrisse Giorgio Lago, allora nel Veneto c’è qualche milione di sovversivi».
Come si sente quando indossa la toga?
«Quando succede mi prende un’ebbrezza particolare, ma non dimentico che difendo un essere umano».
Lei è anche uno storico. Quando è cominciato questo suo interesse?
«Ero un ragazzo. Deve essere stato prima di andare al ginnasio. Davanti a un libro di Alvise Zorzi ("La Repubblica del Leone") scattò nella mia testa una domanda: "Perché la storia di Venezia non la studio a scuola?". In quel libro c’erano nomi di città e di isole che cercai sul mappamondo. Mi nacque dentro una sorta di frustrazione: mi avevano nascosto una straordinaria storia civile e politica».
E così è nata in lei questa passione storica?
«Deve essere stato così. Mi sono messo di buzzo buono, ho letto libri su libri e mi piacerebbe che i veneziani conoscessero la storia della propria città non soltanto per aneddoti folkloristici...».
E allora?
«Allora mi spendo per amore di Venezia, faccio presentazioni, incontri, conversazioni che hanno per tema la città intesa come Stato».
Se intesa come Comune invece?
«Non mi faccia la domanda se sono favorevole o meno alla separazione tra queste due realtà, Venezia e Mestre intendo. Tutti sanno che sono due cose completamente diverse, è un’offesa all’intelligenza parlarne. I referendum sono stati bocciati nel senso più basso, quello politico».
Cosa le piace di Venezia?
«Non saprei dove cominciare. Venezia e il Veneto hanno bisogno di un respiro internazionale. Montanelli lo sosteneva apertamente, diceva che la storia veneta non è una storia italiana, Meccoli chiedeva di ritornare almeno al vecchio Dogado. Io potevo esercitare la professione a Padova, ma stare lontano dalla mia città mi procurava una sorta di depressione e così ho seguito un mio impulso naturale: svegliarmi al mattino, aprire la finestra e respirare le pietre di Venezia.
Cosa fa nel tempo libero?
«Agonismo. Regate di voga alla veneta. Lo sport mi fa vivere la Laguna che per un veneziano è imprescindibile. È come una calamita, ti attira, ti mette dentro l’ansia di viverla. Mi piacciono i suoi colori, amo vedere come si trasforma».
Chi è il prototipo del veneziano?
«Veneziano non è chi è nato qui, è veneziano chi ama la città, chi la vive, chi onora le tradizioni e la cultura veneta».
Come vive il 150° anniversario dell’unità d’Italia?
«Venezia e il Veneto furono annessi nel 1866 e Roma nel 1870. Con questo anniversario non c’entrano niente. Lo stesso Garibaldi si lamentò che nel Veneto nessuno insorse a favore dell’Italia. Nel 1866 i Savoia si appropriarono di un bene prezioso, Venezia e il Veneto, dopo aver perso due battaglie, una terrestre a Custoza, l’altra navale a Lissa, dove i vincitori furono soprattutto veneti, friulani e istro-dalmati. "Chi controlla il presente controlla il passato" scrisse George Orwell e sulla grandezza della Serenissima fu steso un velo: i Savoia non avevano una storia che potesse starvi accanto. L’appropriazione avvenne in una stanza d’albergo sul Canal Grande e fu salutata da un trafiletto del quotidiano locale: "Questa mattina in una camera dell’albergo Europa si è fatta la cessione del Veneto". Da allora la solita storia: tutto ciò che riguarda Venezia e il Veneto val bene un trafiletto, mentre sappiamo che per episodi insignificanti o quasi, come i Ciompi, o la disfida di Barletta, o Pier Capponi, pagine su pagine. Poche righe sono dedicate alla Battaglia di Lepanto (1571), che bloccò l’invasione turca dell’Europa, e alla rivoluzione veneziana (marzo 1848-agosto 1849), altro che Cinque giornate di Milano».

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