Visualizzazioni totali

Archivio blog

lunedì 30 agosto 2010

DE TERA E DE ACOA scrito in Veneto.

DE TERA E DE ACOA




Questa questione filosofica fu definita da me, Dante Alighieri, il minimo dei filosofi, durante il dominio dell'invitto Signore messer Cangrande della Scala, Vicario del Sacro Romano Impero, nell'inclita città di Verona, nel tempietto della gloriosa Elena , davanti a tutto il clero veronese, fatta eccezione di alcuni ...che, ardendo di troppa carità, non accettano gli inviti degli altri

e, per troppa umiltà poveri di Spirito Santo, rifuggono

dall'intervenire ai loro discorsi per non sembrare riconoscere

l'eccellenza degli altri.

Ciò avvenne nell'anno 1320

dalla nascita di nostro Signore Gesù Cristo, nel giorno di domenica —

che il suddetto Salvatore nostro, mediante la sua gloriosa nascita e la

sua mirabile resurrezione, ci indicò come giorno da venerare — il quale

allora cadeva il 20 gennaio

vvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvv

DE TERA E DE ACOA

by renato de paoli


Sta question filosofica l’è sta definia da mi, Dante Alighieri, el minimo dei filosofi, durante el dominio del mai venzo Sior messer Cangrande de l’Isola Scala, Vicario del Sacro Roman Impero, ne l'inclita cità de Verona, nel tempieto de la gloriosa Elena , davanti a tuto el clero veronese, fata ecezion de qual che dun ...che, brusando de massa carità, no ‘i aceta i inviti dei’ altri
 e, par massa umiltà poareti de Spirito Santo, scapa via de continuo
da l'intervenir ai so discorsi par no parer riconosar l'eccellenza dei’ altri.
Ciò l’è capità ne l'ano 1320 da la nascita de nostro Signore Gesù Cristo, nel giorno de domenica —
che el su dito Salvator nostro, con la so gloriosa natività e la
so ammirabile resurezion, nà indicà come giorno da venerar — el quale a lora cascava el 20 genar


by nadia vanini


vvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvv

20 gennaio 1320 in Verona : vai in fondo


Dante Alighieri

QUESTIO DE AQUA ET TERRA

IL LUOGO E LA FORMA DEI DUE ELEMENTI

DELL'ACQUA E DELLA TERRA

versione italiana di Pio Gaja

Edizione di riferimento:
Opere minori di Dante Alighieri, vol. II, UTET, Torino 1986
IL LUOGO E LA FORMA DEI DUE ELEMENTI
DELL'ACQUA E DELLA TERRA
I
Sia manifesto a tutti voi che, mentre io mi trovavo a Mantova 1, venne sollevata una questione la quale, pur essendo stata già molte volte accanitamente dibattuta con l'animo rivolto più all'apparenza che alla verità, era rimasta insoluta. Pertanto io, essendomi costantemente nutrito dell'amore della verità fin dalla mia fanciullezza, non potei rinunciare a discutere la suddetta questione, ma volli indicarne la vera soluzione, nonché confutare gli argomenti addotti in contrario, sia per amore della verità che per odio della falsità. Inoltre, per evitare che il livore dei molti che sogliono fingere menzogne in assenza delle persone invidiate deformasse, dietro le spalle, le mie giuste argomentazioni, volli consegnare a queste pagine 2 stese di mio pugno, la soluzione da me data, e delineare per iscritto lo svolgimento organico di tutta la disputa.
II
La questione dibattuta riguardava il luogo e la figura o (meglio) la forma dei due elementi dell'acqua e della terra; intendo qui per « forma » quella che il Filosofo nei Predicamenta pone nella quarta specie di qualità. La questione venne circoscritta all'esame di questo punto considerato fondamentale per la ricerca della verità: se l'acqua nella sua sfera, cioè nella sua superficie naturale, fosse in qualche parte più alta della terra che emerge dalle acque e che noi comunemente chiamiamo la « quarta (parte) abitabile » 3. La risposta affermativa veniva provata con molti argomenti, io ne presi in esame cinque perché mi sembrava avessero qualche valore, mentre ne tralasciai alcuni altri per la loro scarsa consistenza.
III
Il primo argomento era questo: «È impossibile che due superfici sferiche non equidistanti tra loro abbiano lo stesso centro; ora la superficie sferica dell'acqua e la superfìcie sferica della terra non sono equidistanti tra loro; quindi (non hanno lo stesso centro)». Poi si proseguiva: «Poiché il centro della terra è il centro dell'universo — come viene ammesso da tutti — e poiché tutto ciò che nel mondo occupa una posizione diversa da tale centro è più alto, è logico concludere che la superficie dell'acqua è più alta della superficie della terra, dato che una superficie sferica in ogni suo punto è equidistante dal centro ». La premessa maggiore del primo sillogismo sembrava chiara in forza di quanto vien dimostrato in geometria; la premessa minore sembrava evidente in base all'esperienza sensibile, in quanto noi vediamo che la sfera della terra in qualche parte è interna alla sfera dell'acqua, mentre in qualche altra parte le è esterna.
IV
Il secondo argomento era questo: «A corpo più nobile compete luogo più nobile; ora l'acqua è corpo più nobile della terra; quindi all'acqua compete un luogo più nobile. E poiché un luogo è tanto più nobile quanto è più alto, per la sua maggior vicinanza al nobilissimo corpo onniabbracciante che è il primo cielo 4, ne consegue che il luogo dell'acqua è più alto del luogo della terra, e di conseguenza che l'acqua è più alta della terra, non essendoci differenza tra la posizione del luogo e quella del corpo che lo occupa» 5. Le premesse maggiore e minore del primo sillogismo di questa io argomentazione venivano ammesse come evidenti.
V
Il terzo argomento era questo: «Ogni opinione che contraddice ai sensi è un'opinione erronea; ora credere che l'acqua non sia più alta della terra contraddice ai sensi; quindi è un'opinione erronea». La premessa maggiore si diceva risultare da quanto afferma il Commentatore del terzo libro del De Anima; la seconda premessa, cioè la minore, si diceva risultare dall'esperienza dei marinai i quali, trovandosi in mare, vedono i monti sotto di sé, e lo comprovano col dire che salendo sull'albero della nave li vedono, mentre stando sulla tolda della nave non li vedono, il che sembra accadere per il fatto che la terra è molto più bassa e depressa rispetto al dorso del mare.
VI
Il quarto argomento era questo: « Se la terra non fosse più bassa dell'acqua, la terra sarebbe totalmente senza acque — almeno nella parte emersa della quale appunto si discute —, e quindi non vi sarebbero sorgenti, né fiumi, né laghi. Ma noi vediamo il contrario di ciò, e quindi è vero il contrario di quell'ipotesi da cui derivava quella conseguenza, cioè è vero che l'acqua è più alta della terra ». Questa conclusione veniva comprovata dal fatto che l'acqua scorre naturalmente verso il basso, ed essendo il mare il principio di tutte le acque — come afferma il Filosofo nella sua Meteorologia —, se il mare non fosse più alto della terra, l'acqua non scorrerebbe verso la terra, dato che in ogni movimento naturale dell'acqua la sorgente dev'essere più alta.
VII
Il quinto argomento era questo: « L'acqua sembra seguire perfettamente il moto della luna, come risulta dal flusso e riflusso del mare 6; ora, essendo l'orbita lunare eccentrica 7, sembra logico che l'acqua nella sua sfera imiti l'eccentricità dell'orbita lunare e di conseguenza sia eccentrica 8, e poiché ciò non può verificarsi se l'acqua non è più alta della terra, come si è dimostrato nel primo argomento, ne consegue quella medesima conclusione ».
VIII
Con simili argomenti dunque — e con altri non degni di considerazione — i sostenitori della tesi che l'acqua è più alta della terra emersa o abitabile cercano di dimostrare la verità della loro opinione, benché in contrasto con essa stiano il senso e la ragione. Riguardo al senso infatti, noi vediamo che in ogni parte della terra, sia meridionale che settentrionale, sia orientale che occidentale, i fiumi discendono verso il mare, il che non avverrebbe se le sorgenti dei fiumi ed i corsi dei loro alvei non fossero più alti della superficie del mare. Riguardo poi alla ragione, la nostra tesi risulterà chiara più avanti quando sarà dimostrata con molti argomenti.
IX
Nell'indicare la (vera) soluzione del problema del luogo e della forma dei due elementi, cui si accennava sopra, si seguirà quest'ordine: in primo luogo si dimostrerà essere impossibile che l'acqua, in qualche parte della sua superfìcie, sia più alta della terra emergente o asciutta; in secondo luogo si dimostrerà che la terra emergente è ovunque più alta dell'intera superficie del mare; in terzo luogo si prospetterà un'obiezione contro la dimostrazione di questa tesi e si risolverà l'obiezione; in quarto luogo sarà indicata la causa finale e la causa efficiente del sollevamento o emersione della terra; in quinto luogo si confuteranno gli argomenti addotti sopra.
X
Riguardo dunque al primo, punto affermo che se l'acqua, in qualche parte della sua superfìcie sferica, fosse più alta della terra, ciò si verificherebbe necessariamente in uno di questi due modi: o perché l'acqua sarebbe eccentrica (nei confronti della terra), come si concludeva nel primo e nel quinto argomento, o perché, pur essendo concentrica, presenterebbe in qualche parte una gibbosità nella quale appunto sarebbe più alta della terra. Non potrebbero esserci altri modi (di emersione), come risulta sufficientemente chiaro a chi sappia penetrare con acutezza nell'argomento. Ora nessuno di quei due modi alternativi è possibile, e quindi non è possibile neppure quell'ipotesi (dell'acqua più alta della terra), dalla quale scaturivano quei due modi alternativi (di realizzazione). La consequenzialità logica (del sillogismo) è evidente in base al « locus », come si dice, della sufficiente divisione dell'oggetto in questione; la conclusione dell'impossibilità (della suddetta ipotesi) risulterà chiara da quanto si verrà dimostrando.
XI
Per chiarire la verità del nostro assunto dobbiamo partire da due presupposti: primo, che l'acqua per natura si muove verso il basso; secondo, che l'acqua per natura è un corpo fluido e di per sé non pone limiti al suo corso. Se qualcuno negasse questi due princìpi o uno dei due, non sarebbe più possibile discutere con lui, poiché con chi nega i princìpi di una scienza non si deve discutere nell'ambito di quella scienza, come risulta dal primo libro della Physica. Quei princìpi infatti sono stati scoperti col metodo induttivo—sperimentale, la cui funzione è proprio quella di scoprire i princìpi, come risulta dal primo libro Ad Nicomachum.
XII
Dunque, per invalidare il primo modo alternativo accennato nella conclusione (del precedente sillogismo), affermo che è impossibile che l'acqua sia eccentrica (rispetto alla terra), e lo dimostro nel modo seguente: se l'acqua fosse eccentrica ne deriverebbero tre conseguenze impossibili, primo che l'acqua per sua natura scorrerebbe sia verso l'alto che verso il basso; secondo che l'acqua non scorrerebbe verso il basso nella stessa direzione della terra; terzo che il concetto di « gravità » si attribuirebbe ai due elementi in senso equivoco. Tutte queste conseguenze sono evidentemente non soltanto false, ma impossibili. Tali conseguenze si possono illustrare nel modo seguente: il cielo sia la circonferenza segnata con tre croci, l'acqua quella con due, la terra quella con una, inoltre il centro del cielo e della terra sia il punto A e il centro dell'acqua eccentrica il punto B, come appare nella figura disegnata 9.

Ora, dato che vi sia acqua in A ed abbia possibilità di passaggio, dico che essa per sua natura fluirà verso B, poiché ogni corpo grave tende per sua natura a spostarsi al centro della propria sfera 10; e poiché il muoversi da A a B è un movimento dal basso verso l'alto — essendo A il punto assolutamente più basso rispetto a tutte le cose 11 —, l'acqua si muoverà per sua natura dal basso verso l'alto, e questo era la prima conseguenza impossibile di cui si parlava. Supponiamo inoltre che nel punto Z vi sia una zolla di terra e nello stesso punto una certa quantità d'acqua, e che manchi ogni ostacolo (al loro movimento): siccome ogni corpo grave tende al centro della propria sfera, come si è detto, la zolla di terra si muoverà in linea retta verso A e l'acqua in linea retta verso B, prendendo necessariamente direzioni diverse — come risulta nella figura tracciata —, e ciò non solo è impossibile, ma ne riderebbe Aristotele, se l'udisse. Questa era la seconda conseguenza che si doveva illustrare. La terza conseguenza infine la illustro nel modo seguente: la gravità e la leggerezza sono qualità proprie dei corpi semplici che si muovono con moto rettilineo, quelli leggeri verso l'alto, quelli pesanti invece verso il basso — intendo infatti per grave e leggero il corpo mobile, come vuole il Filosofo nel De coelo et mundo. Pertanto se l'acqua si muovesse verso B e la terra invece verso A, essendo ambedue corpi pesanti si muoverebbero bensì dall'alto verso il basso, ma in direzione di punti diversi, e tali punti finali diversi non possono avere un'identica natura essenziale, poiché uno è basso in senso assoluto, l'altro invece in senso relativo. E poiché la diversità essenziale dei fini comporta una diversità in ciò che serve a raggiungerli, è chiaro che nell'acqua e nella terra sarà presente una diversa essenza di gravità. E poiché esprimere essenze diverse con un nome identico genera equivoco — come dimostra il Filosofo negli Antepraedicamenta —, ne consegue che il termine «gravità» viene attribuito all'acqua e alla terra in modo equivoco; e questa era la terza conseguenza che andava chiarita. In tal modo quindi, in base ad una vera dimostrazione — del genere di quelle che dimostrano l'impossibilità di una cosa — risulta chiaro che l'acqua non è accentrica. E così viene invalidato, come si doveva, il primo modo alternativo (di realizzazione dell'ipotesi) indicato nella conclusione della prima argomentazione.
XIII
Per invalidare il secondo modo accennato nella stessa conclusione del primo sillogismo, affermo che è perfino impossibile che l'acqua presenti una gibbosità, e lo dimostro nel modo seguente: il cerchio indicato con quattro croci sia il cielo, quello con tre l'acqua, quello con due la terra, e D sia il centro della terra, dell'acqua concentrica e del cielo. Bisogna premettere che l'acqua non può essere concentrica alla terra se la terra stessa, dato che in qualche parte emerge sulla superficie dell'acqua, non presentasse in quella parte una gibbosità sporgente sulla propria regolare superficie sferica, com'è ben noto agli esperti in matematica 12. Indi chiamo dunque con H la gibbosità dell'acqua e con G la gibbosità della terra e poi tiriamo una linea da D ad H ed un'altra da D a F.

È chiaro che la linea che va da D ad H è più lunga di quella che va da D a F, e perciò l'estremità della prima linea è più alta dell'estremità della seconda, e poiché ambedue le estremità toccano la superficie dell'acqua senza oltrepassarla, è evidente che l'acqua formante la gibbosità sarà più in alto rispetto alla superfìcie dove è il punto F. Se sono veri i presupposti accennati sopra, l'acqua della gibbosità, in assenza di ostacoli, fluirà verso il basso fino a formare una superficie sferica regolare, cioè equidistante dal centro D; sarà così impossibile che possa permanere od esistere una gibbosità dell'acqua, e questo è quanto si doveva dimostrare. Oltre questa dimostrazione apodittica, c'è anche un'argomentazione probabile con cui si può dimostrare che l'acqua non ha una gibbosità che emerga fuori dalla sua superfìcie sferica regolare. Infatti, ciò che può ottenersi con una sola causa è meglio che si ottenga con quella sola che con più; ora tutto il fenomeno considerato può verificarsi ammettendo la sola gibbosità della terra, come apparirà in seguito; quindi non c'è gibbosità nell'acqua, poiché Dio insieme alla natura fa e vuole 13 sempre ciò che è meglio, come è dimostrato dal Filosofo nel libro primo del De coelo et mundo e nel secondo del De generatione animalium. Pertanto risulta sufficientemente chiaro quanto riguarda il primo punto, cioè che è impossibile che l'acqua, in qualche parte della sua superficie sferica, sia più alta — cioè più distante dal centro del mondo — di quanto lo sia la superficie della terra abitabile. Questo era, nell'ordine suindicato, il primo punto da svolgere.
XIV
Se dunque è impossibile che l'acqua sia eccentrica —come si è dimostrato con la prima figura —, e che presenti qualche gibbosità — come si è dimostrato con la seconda —, è necessario che essa sia concentrica e sferica, cioè equidistante, in ogni parte della sua superficie sferica, dal centro del mondo, come risulta di per sé evidente.
XV
Ed ora ecco la mia dimostrazione: qualunque elevazione in qualche parte di una superficie sferica equidistante dal centro è più distante da tale centro di qualunque altra parte della stessa superficie sferica; ora tutte le spiagge, sia dell'oceano che dei mari mediterranei 14, sono sopraelevate rispetto alla superficie del mare che le lambisce, come risulta a colpo d'occhio; quindi tutte le spiagge sono più distanti dal centro del mondo in quanto il centro del mondo coincide, come si è visto, con il centro del mare, e le superfici marine contigue alle spiagge sono parti della superficie totale del mare. E poiché ogni cosa più distante dal centro del mondo è più alta, ne consegue che tutte le spiagge sono più alte rispetto a tutto il mare, e se lo sono le spiagge, tanto più lo sono le altre regioni della terra, essendo le spiagge le parti più basse della terra, come lo dimostrano i fiumi che ad esse discendono. La premessa maggiore di questa dimostrazione è provata in base a teoremi geometrici 15; la dimostrazione poi è ostensiva, sebbene abbia una sua forza cogente analoga alle precedenti dimostrazioni per assurdo. Si è chiarito in tal modo quanto concerne il secondo punto.
XVI
Ma contro il risultato della mia argomentazione si può sollevare questa obiezione: il corpo più pesante tende al centro in modo uguale in ogni sua parte ed in modo massimo: ora la terra è il corpo più pesante; quindi la terra tende al centro in modo uguale in ogni sua parte ed in modo massimo. Da questa conclusione consegue, come spiegherò, che la terra, tendendo al centro «in modo uguale», dev'essere equidistante dal centro in ogni parte dalla sua superficie sferica, e tendendovi «in ogni massimo», dev'essere più bassa di tutti i corpi, col risultato che la terra — qualora l'acqua fosse concentrica, come dicono — sarebbe dappertutto sommersa e coperta dalle acque, mentre noi vediamo il contrario. Che tali conseguenze derivino dalla conclusione (del sillogismo) lo illustro nel modo seguente: supponiamo il contrario o (meglio) l'opposto di quella prima conseguenza che è l'equidistanza in ogni parte, e diciamo che (la terra) non è equidistante (dal centro); supponiamo inoltre che la superficie della terra da una parte disti (dal centro) venti stadi e dall'altra dieci, in questo caso un suo emisfero 16 avrà un volume maggiore dell'altro; non ha alcuna importanza se le loro distanze (dal centro) differiscano poco o molto, purché differiscano. Pertanto, siccome un maggior volume di terra ha maggior peso, l'emisfero maggiore, per la prevalente forza del suo peso, premerà sull'emisfero minore finché i volumi di ambedue si pareggino e, attraverso tale livellamento, si pareggino pure i pesi — come vediamo (accadere) nella pesatura con il pareggiamento dei pesi sulle bilance — e così ogni parte si ridurrà alla distanza di quindici stadi. È quindi evidentemente impossibile che la terra, tendendo al centro in modo uguale, disti da esso in modo diverso o disuguale nella sua superficie sferica. Quindi, dato che la terra dista (dal centro), è necessario ammettere l'opposto del «distare in modo disuguale», cioè appunto il «distare in modo uguale». E così è spiegata la suddetta conseguenza per la parte che riguarda l'equidistanza. Che inoltre la terra sia il più basso di tutti i corpi — come conseguenza che si diceva derivare anch'essa dalla conclusione (del sillogismo) — lo spiego nel seguente modo: la massima forza raggiunge il fine in massimo grado — infatti tale forza è detta «massima» appunto perché può raggiungere il fine nel modo più rapido e facile —; ora la massima forza di gravità è insita nel corpo che tende al centro in massimo grado e tale corpo è appunto la terra; quindi la terra raggiunge in massimo grado il punto finale della gravità, che è il centro del mondo; quindi la terra, raggiungendo in massimo grado il centro (del mondo), sarà la più bassa di tutti i corpi. E questa era la seconda conseguenza da spiegare. Così dunque pare chiaramente impossibile che l'acqua sia concentrica alla terra, il che contrasta con i risultati della mia argomentazione.
XVII
Tuttavia quel ragionamento (dell'obiezione) non sembra probante poiché la premessa maggiore del primo sillogismo non sembra possedere carattere di necessità. Vi si diceva infatti: «il corpo più pesante tende al centro in modo uguale in ogni sua parte ed in modo massimo», ma tale proposizione non sembra essere necessaria poiché, sebbene la terra in rapporto ad altri corpi sia quello più pesante, considerata invece in se stessa nelle sue parti, può essere e non essere il più pesante, in quanto potrebbe essere più pesante da una parte che dall'altra. Infatti, poiché il bilanciamento di un corpo grave non avviene in base al volume in quanto, tale ma in base al peso, vi potrà essere parità di peso senza che vi sia parità di volume. E così quella dimostrazione resta apparente ed insussistente 17.
XVIII
Ma tale istanza (all'obiezione) non ha valore poiché procede da ignoranza circa la natura dei corpi omogenei e dei corpi semplici. Infatti i corpi omogenei e quelli semplici —omogenei come l'oro allo stato puro e semplici come il fuoco e la terra — hanno tutte le loro qualità naturali uniformemente distribuite nelle loro parti. Pertanto, essendo la terra un corpo semplice, essa, per natura e assolutamente parlando, possiede le sue qualità uniformemente distribuite nelle varie parti. Quindi, dato che la gravità è insita per natura nella terra, e dato che la terra è un corpo semplice, è necessario che essa abbia in tutte le sue parti una gravità uniforme, cioè distribuita nella stessa proporzione in tutto il suo volume. Ma se è così, il ragionamento della prima obiezione resta ancora valido 18. Pertanto bisogna rispondere che il ragionamento di questa obiezione è sofistico in quanto confonde il senso relativo con il senso assoluto 19. Bisogna infatti sapere che la Natura universale non viene mai frustrata nel suo fine per cui, quand'anche una natura particolare possa talvolta, per la resistenza della materia, venir meno al fine inteso, la Natura Universale invece non può in nessun modo fallire il suo intento, poiché ad essa sono ugualmente sottomessi l'atto e la potenza delle cose contingenti. Ora l'intento della Natura universale è che tutte le forme che sono in potenza nella materia prima si traducano in atto, e siano attuate secondo la natura della loro specie, cosicché la materia prima nella sua totalità sia il substrato di tutte le forme materiali, sebbene, nelle sue determinazioni particolari, sia soggetta alla privazione di tutte le forme, eccetto una 20. Infatti, poiché tutte le forme, che sono in potenza nella materia, sono in atto, in quanto idee, nel Motore del cielo — come dice il Commentatore nel De substantia orbis —, se tutte queste forme non fossero sempre in atto, al Motore del cielo verrebbe a mancare l'integrale diffusione della sua bontà, affermazione questa inammissibile. E poiché tutte le forme materiali degli esseri generabili e corruttibili, eccetto le forme degli elementi, richiedono un soggetto materiale misto e articolato, a formare il quale sono finalisticamente ordinati gli elementi in quanto tali, e non potendo esserci mescolanza se le cose mescolabili non possono trovarsi riunite insieme, come è di per sé evidente, è necessario che nell'universo esista una parte dove tutte le cose mescolabili, cioè gli elementi, possano venire a contatto, ma questa non potrebbe esistere se la terra non emergesse in qualche parte, come risulta evidente a chi è capace di intuizione. Quindi, siccome ogni natura obbedisce all'intento della Natura universale, fu necessario che la terra, oltre alla propria natura semplice che la porta a stare in basso, possedesse anche un'altra natura per la quale potesse obbedire all'intento della Natura universale, diventando suscettibile di un'elevazione in qualche parte ad opera della forza del cielo, quasi ubbidendo ad un atto di comando, come vediamo a proposito dell'appetito concupiscibile e irascibile nell'uomo, i quali, quantunque siano portati, secondo il proprio impulso, a seguire la passione sensibile, secondo invece la loro disposizione obedienziale verso la ragione, sono talvolta trattenuti dal seguire il proprio impulso, come risulta dal primo libro dell’Ethica.
XIX
Dunque la terra, sebbene, secondo la sua natura semplice, tenda al centro in modo uniforme come si diceva nel ragionamento dell'obiezione, secondo invece una natura diversa, subisce un'elevazione in una sua parte per rendere possibile la mescolanza (degli elementi), in obbedienza alla Natura universale. Con questo si salva la concentricità della terra e dell'acqua — senza incorrere in conseguenze inaccettabili per coloro che filosofano nettamente —, come risulta da questa figura, nella quale il cielo è il cerchio indicato da A,
l'acqua quello indicato da B e la terra quello indicato da C. E non importa, per la verità della tesi proposta, che l'acqua sembri distare poco o molto dalla terra. Bisogna inoltre riconoscere che questa figura è la vera, perché riflette la forma e la posizione dei due elementi, mentre le altre due precedenti sono false, e furono tracciate non perché le cose stiano a quel modo, ma perché chi vuole apprendere possa servirsi di un'intuizione sensibile, come dice Aristotele nel primo libro degli Analytica Priora. E che la terra emerga per una gibbosità 21, e non con la sua superficie sferica regolare, risulta in modo inequivocabile considerando la figura della terra emergente: tale figura infatti presenta la forma di mezzaluna 22, quale non potrebbe assolutamente essere, se emergesse secondo la sua superficie sferica regolare, cioè equidistante dal centro; infatti, come è dimostrato nei teoremi di matematica 23, la superficie regolare di una sfera deve sempre emergere con un contorno circolare da una superficie piana oppure da una superficie sferica, quale dev'essere quella dell'acqua. E che la terra emergente abbia una figura simile alla mezzaluna risulta chiaro sia dai naturalisti che ne trattano, sia dagli astronomi che ne descrivono le zone climatiche, e sia dai cosmografi che delimitano le regioni della terra in tutte le parti del mondo. Infatti è comunemente risaputo da tutti che questa terra abitabile si estende in longitudine da Cadice — fondata da Ercole e situata sui confini occidentali — fino alla foce del fiume Gange, come scrive Orosio 24. Questa longitudine si estende tanto che quando il sole, durante l'equinozio, tramonta per gli abitanti che si trovano in uno dei punti estremi, sorge per quelli che si trovano nell'altro punto, come è stato scoperto dagli astronomi studiando le eclissi lunari. Pertanto i punti estremi della predetta longitudine devono distare 180 gradi, che è la metà della lunghezza dell'intera circonferenza. Per quanto riguarda invece la linea della latitudine, i medesimi esperti comunemente sostengono che (la terra abitabile) si estende da quegli abitanti per i quali lo zenit è l'equatore fino a quelli per i quali lo zenit è il circolo (polare artico) descritto dal polo zodiacale attorno al polo del mondo, e tale circolo dista dal polo del mondo circa 23 gradi, e pertanto l'estensione della latitudine è di circa 67 gradi e non oltre, come risulta chiaro a chi è dotato di intuito. E così è manifesto che la terra emergente deve avere la figura di una mezzaluna o quasi, poiché tale figura è palesemente il risultato di quelle misure di latitudine e di longitudine. Se avesse invece un contorno circolare, avrebbe la figura di una calotta sferica, ed in tal caso longitudine e latitudine non differirebbero nella distanza dei punti estremi, come può essere chiaro perfino alle donne. E così si è chiarito il terzo punto indicato nell'ordine delle cose da trattare.
XX
Resta ora da esaminare la causa finale e la causa efficiente di questo sollevamento della terra, la cui esistenza è già stata sufficientemente dimostrata seguendo il metodo scientifico, per il quale la questione dell'esistenza (di una cosa) deve precedere la questione della causa di essa. Riguardo alla causa finale basti quanto si è detto nella distinzione precedente 25. Per indagare invece la causa efficiente va premesso che la presente trattazione si limita alla materia naturale, poiché riguarda l'ente mobile cioè l'acqua e la terra, che sono appunto corpi naturali. Perciò bisogna prefiggersi solo quella certezza raggiungibile nella sfera del mondo fisico, qual è questo che si investiga 26, poiché studiando qualsiasi genere di oggetti si deve cercare quel grado di certezza consentito dalla natura dell'oggetto stesso, come risulta dal primo libro dell'Ethica. Poiché dunque nella ricerca della verità circa le realtà naturali ci è innato il metodo di partire dalle cose più note a noi ma meno note in sé per giungere alle cose più certe e più note in sé — come risulta dal primo libro della Physica —, e poiché nelle realtà naturali sono più noti a noi gli effetti che le cause tanto che attraverso quelli siamo condotti alla conoscenza delle cause — come risulta dal fatto che l'eclissi di sole portò alla conoscenza dell'interposizione della luna, onde per lo stupore gli uomini cominciarono a filosofare —, è necessario che il metodo di ricerca nel campo delle realtà naturali sia quello che va dagli effetti alle cause. Questo metodo invero, sebbene abbia una sufficiente certezza, non ne ha però tanta quanto il metodo di ricerca in matematica, che parte dalle cause, cioè da ciò che è prima, per andare agli effetti, cioè a ciò che è dopo; ad ogni modo bisogna prefiggersi quella certezza che si può raggiungere col metodo di dimostrazione consentito. Affermo pertanto che la causa efficiente del sollevamento della terra non può essere la terra stessa, poiché se sollevarsi significa portarsi in alto e se il portarsi in alto è contro la natura della terra — e nessuna cosa assolutamente parlando può essere causa di ciò che è contro la propria natura —, è logico che la terra non può essere la causa efficiente di quel sollevamento. E similmente non lo può essere neppure l'acqua, poiché, essendo l'acqua un corpo omogeneo, la sua forza dev'essere, assolutamente parlando, distribuita in modo uniforme in ogni sua parte, e così non vi sarebbe più ragione del fatto che abbia sollevato (la terra) in questo punto piuttosto che in un altro. Questa stessa ragione esclude anche l'aria ed il fuoco dall'essere causa efficiente, e siccome non ci rimane altro elemento che il cielo, ad esso come a causa propria va ricondotto quell'effetto (del sollevamento). Ma essendoci più cieli, resta ancora da indagare a quale di essi si debba ricondurre come a causa specifica: non al cielo della luna, poiché essendo la luna stessa strumento della propria forza o influsso, e declinando essa, per lo zodiaco, dall'equatore tanto verso il polo antartico quanto verso il polo artico, avrebbe sollevato la terra così al di là come al di qua dell'equatore, il che non avvenne 27; né vale dire che il sollevamento dall'altra parte non potè verificarsi per la maggior vicinanza della luna alla terra a causa dell'eccentricità (dell'orbita lunare) 28, poiché se nella luna ci fosse stata questa forza sollevatrice, avrebbe sollevato più di là (dell'equatore) che di qua, dato che gli agenti più vicini agiscono con più efficacia.
XXI
Quello stesso motivo esclude da siffatta causalità tutte le 68 sfere dei pianeti 29. E poiché il primo mobile, cioè la nona sfera, è dappertutto uniforme 30, e di conseguenza è dotato di forze uniformemente diffuse in ogni sua parte, non vi è ragione perché abbia sollevato da questa parte piuttosto che da un'altra. Non essendoci pertanto altri corpi mobili fuorché il cielo stellato che costituisce l'ottava sfera, è necessario riportare unicamente ad esso quell'effetto (del sollevamento) 31. Al fine di chiarire ciò, bisogna sapere che, sebbene il cielo stellato abbia unità di sostanza, ha tuttavia molteplicità di forze 32; pertanto fu necessario che tale varietà di forze fosse distribuita nelle sue parti a noi visibili (cioè le stelle), onde potesse sprigionare influssi diversi attraverso organi diversi; e chi non sappia afferrare ciò deve considerarsi fuori dall'ambito della filosofia 33. Nel cielo stellato infatti noi vediamo differenze nella grandezza e nella luce delle stelle, nelle figure e nelle immagini delle costellazioni, e tali differenze non possono esistere senza scopo, come dev'essere lampante per tutte le persone colte in filosofia. Pertanto diverso è l'influsso di questa o di quella stella, diverso l'influsso di questa o di quella costellazione, diverso l'influsso delle stelle che sono al di qua e di quelle che sono al di là dell'equatore. E poiché i volti terrestri sono simili ai volti celesti, come dice Tolomeo, ne consegue che, dovendosi ricondurre quell'effetto al cielo stellato, come si è visto, la corrispondente causa di tale influsso (sollevante) deve trovarsi in quella regione del cielo che copre questa terra emersa. E poiché questa terra emersa si estende dall'equatore fino alla linea che il polo dello zodiaco descrive attorno al polo del mondo, come si è detto sopra, è chiaro che l'influsso che solleva (la terra) — sia che la sollevi per attrazione, come la calamita attrae il ferro 34, oppure per spinta, generando dei vapori che la spingano in su, come avviene in certe zone montuose 35 — promana da quelle stelle che sono nella regione del cielo compresa tra quei due circoli. Ma ora ci si domanda: dato che quella regione del cielo si muove circolarmente, perché quel sollevamento non fu circolare? Rispondo che non fu circolare perché la materia era inadeguata ad un sollevamento così enorme 36. Ma allora si potrà muovere una più forte obiezione chiedendosi: perché il sollevamento avvenne nel nostro emisfero piuttosto che nell'altro? A tale questione bisogna rispondere con ciò che il filosofo afferma nel secondo libro del De coelo, quando si chiede perché il cielo si muove da oriente verso occidente e non viceversa. Ivi infatti dice che simili questioni derivano o da molta stoltezza o da grande presunzione, poiché sono al di sopra del nostro intelletto. Pertanto riguardo al suddetto quesito, bisogna dire che quel Dio, glorioso dispensatore (di tutte le cose), che predispose il luogo dei poli, il luogo del centro del mondo, la distanza dell'ultima sfera dell'universo dal centro di esso ed altre cose simili, fece quel sollevamento — come anche tutte le cose suddette — secondo il meglio. Onde, quando Dio disse: «Si raccolgano le acque in un sol luogo e appaia la terra asciutta», allora simultaneamente il cielo fu dotato di influssi attivi e la terra della potenza passiva di riceverli.
XXII
Cessino dunque, cessino gli uomini di ricercare ciò che li trascende e indaghino fin dove possono, per avvicinarsi alle cose immortali e divine nei limiti delle loro possibilità, tralasciando le cose più grandi di loro. Ascoltino l'amico di Giobbe che dice: «Comprenderai tu forse le vestigia di Dio e conoscerai l'Onnipotente in modo perfetto?». Ascoltino il Salmista che dice: «Meravigliosa è per me la tua scienza, è troppo alta e non potrò giungere ad essa». Ascoltino Isaia il quale, raffigurando Dio che parla agli uomini, dice: « Quanto distano i cieli dalla terra, altrettanto distano le mie vie dalle vostre». Ascoltino la voce dell'Apostolo nell'epistola Ad Romanos: «O profondità delle ricchezze della scienza e sapienza di Dio: quanto incomprensibili sono i suoi giudizi e imperscrutabili le sue vie!». Ed infine ascoltino la voce stessa del Creatore che dice: «Dove io vado voi non potete venire». E qui mettiamo termine alla ricerca della verità che intendevamo raggiungere.
XXIII
Dopo le considerazioni fatte è facile confutare gli argomenti in contrario addotti sopra, e questo era il quinto punto che ci proponevamo di svolgere. Quando dunque si affermava: «È impossibile che due superfici sferiche non equidistanti tra loro abbiano lo stesso centro», si diceva il vero, lo ammetto, ma solo se le superfici sferiche siano regolari, senza una o più gibbosità; e quando nella premessa minore si afferma che le superfici dell'acqua e della terra sono regolari, dico che ciò non è vero, se non altro per la gibbosità presente nella terra, e pertanto il ragionamento non corre. Riguardo al secondo argomento, la proposizione « A corpo più nobile spetta luogo più nobile » è vera, considerando unicamente la natura propria (dei corpi), e sono anche d'accordo sulla premessa minore, e quindi la conclusione che l'acqua deve trovarsi in luogo più alto è vera relativamente alla natura propria di entrambi i corpi, ma per una causa superiore, come si disse sopra, avviene che in questa parte la terra è più alta; e così il ragionamento faceva difetto già nella premessa maggiore. Riguardo al terzo argomento che così inizia: «Ogni opinione che contraddice al senso è un'opinione erronea», affermo che il ragionamento che ne segue procede da una falsa immaginazione; infatti i naviganti immaginano che stando in mare non vedono la terra dalla nave, perché il mare sarebbe più alto della terra, ma non è così, anzi avverrebbe il contrario, poiché vedrebbero di più la terra. La vera ragione invece è che il raggio visivo rettilineo che corre tra l'oggetto e l'occhio viene interrotto dalla convessità dell'acqua; infatti dovendo la superfìcie dell'acqua assumere ovunque una forma sferica attorno al centro, è fatale che, ad una certa distanza, essa stessa venga a costituire l'ostacolo di un corpo convesso. Per il quarto argomento che così inizia: « Se la terra non fosse più bassa, ecc. », affermo che il ragionamento svolto si fonda sul falso e quindi è nullo. Infatti il volgo e le persone che ignorano i trattati dei fisici 37 credono che l'acqua salga, proprio sotto forma di acqua, fino alle cime dei monti e al luogo delle sorgenti, ma ciò è assai puerile, poiché quivi le acque si formano per l'evaporazione della materia, come risulta dalla Meteorologia del Filosofo. Riguardo al quinto argomento, nel quale si afferma che l'acqua è un corpo che imita l'orbita lunare, e quindi, siccome l'orbita lunare è eccentrica, si conclude che lo debba essere anche l'acqua, dico che tale ragionamento non possiede carattere di necessità, in quanto anche se una cosa imita un'altra in una proprietà, non per questo la deve imitare necessariamente in tutte: noi vediamo il fuoco imitare l'orbita del cielo 38 e tuttavia non imita questo nel movimento non rettilineo, né nel non avere qualità contrarie (di movimento) 39, e perciò il ragionamento non regge. In tal modo si sono confutati gli argomenti (contrari).
Così vien portata a termine la trattazione e la soluzione del problema relativo alla forma ed al luogo dei due elementi, come sopra si propose di fare.
XXIV

Questa questione filosofica 40 fu definita da me, Dante Alighieri, il minimo dei filosofi, durante il dominio dell'invitto Signore messer Cangrande della Scala, Vicario del Sacro Romano Impero, nell'inclita città di Verona, nel tempietto della gloriosa Elena 41, davanti a tutto il clero veronese 42, fatta eccezione di alcuni che, ardendo di troppa carità, non accettano gli inviti degli altri 43 e, per troppa umiltà poveri di Spirito Santo, rifuggono dall'intervenire ai loro discorsi per non sembrare riconoscere l'eccellenza degli altri 44.

Ciò avvenne nell'anno 1320 dalla nascita di nostro Signore Gesù Cristo, nel giorno di domenica — che il suddetto Salvatore nostro, mediante la sua gloriosa nascita e la sua mirabile resurrezione, ci indicò come giorno da venerare — il quale allora cadeva il 20 gennaio 45.

LA VERA STORIA DE LA RUA di Annette Ronchin

ANNETTE RONCHIN

TI INVITA ALLO STORICO “ GIRO DE LA RUA “ CHE SI TERRA' A VICENZA SABATO PROSSIMO 4 SETTEMBRE 2010

RITROVO ALLE ORE 19.30 IN PIAZZA DEI SIGNORI TRA LE DUE COLONNE


LA VERA STORIA DE LA RUA

di Annette Ronchin


LA PRIMA RUA L'E' STA REALIXA' NEL 1270 CON NA RUA DEL CAROCIO DE' I PADOANI, CHE I VIXENTINI I GHE GA' PORTA' VIA DE NOTE, DURANTE LA GUERA FRA I DO COMUNI, NON PODENDO PORTAR VIA EL SIMBOLO DE LA CIVITAS PATAVINA I GA PREFERIO PORTARSE VIA LA RUA DEL CAROCIO PADOAN, CHE DOPO L'E' DEVENTA' EL SIMBOLO DE LA CITA' DE VICENXA E DE L'ORDINE DEI NODARI.



LA RUA DE VICENXA L'E' STA RICOSTRUIA PIU' OLTE: NEL 1444 E IN TEL XVI SECOLO SU DISEGNO DE ANDREA PALLADIO E FRANCESCO MUTTONI. LA RUA L'E' STA MESA SORA NA SCALINA', LA GIRAVA CON DELE CAREGHETE PARCHE' I PUTEI I ZUGAXE, DESORA LA GAVEA EL STEMA DEL COMUN VIXENTIN LA CROXE BIANCA IN CAMPO ROSO, ANCORA DEXORA, DRENTO ON CAPITELO, L'ALEGORIA DE LA JUSTIXIA E DESORA DE TUTO EL PENACIO, A LA VERTIGINOSA ALTEXA DE 24 METRI, ON PUTEO CON LA BANDIERA A SVENTOLA, COVERTO DA NA UMBRELA . AI FIANCHI DE LA JIUSTIXIA GHE JERA I ARMIGERI A SO DIFESA VESTII ALL'EROICA, SOTO DU ZOVENI SOLDA' DE COSTA DE LA RUA E DU A CAVALO AL COMINZIO DE LA SCALA.



PAR FAR EL ZIRO DE LA RUA DE VICENXA IN TEL ZORNO DEL CORPUS DOMINI GHE JERA 80 OMINI CHE I LA PORTAVA, E TRI OMINI PAR PARTE, I TEGNEA DE LE STANGHE LONGHE PAR NON FAR PERDARE L'EQUILIBRIO A LA GIOSTRA.CON EL GIRO DE LA RUA GHE JERA EL PALIO COME A SIENA E A ASTI



LA RUA DE VICENXA LA GA AVU' NA STORIA GLORIOSA DURA' DEPI DE SETE SECOLI, LA SE GA ADATA' AI SCOSONI DE LA POLITICA DAI FRANCESI AI ASBURGO, DAI SAVOIA AL VENTENIO FASISTA, QUANDO L'E' STA ABANDONA' PAR ANI DRENTO LE GALERIE DE MONTE BERICO, PROTETA DA LA MADONA FIN QUANDO NO L'E' STA UTILIXA DAI SFOLATI PAR SCALDARSE NEI BRUTI ANI DE LA GUERA.



I VIXENTINI PAR GNENTE CONTENTI DE AVERLA PERSA, I SE GA COSTRUIO LA RUETA CHE DAL 1949 LA FAXEVA EL GIRO DEL QUARTIER DE TRASTEVERE, IN TE LA PRIMA DOMENEGA DE SETEMBRE, PARTENDO DA SAN GIULIAN, LA PERCOREA CONTRA' PORTA PADOVA FIN CONTRA' SANTA LUZIA E DOPO LA RIVAVA A SAN PIERO, PORTA' DA 8 OMINI: QUATRO SOTO LA RUETA E DU A FIANCO CON DO STANGHE PAR TEGNERLA DRITA. LA PESAVA 400 KILI E LA RIVAVA FIN A 8 METRI DE ALTEXA. LA RUETA L'E' STA PORTA' IN GIRO FIN AL 1991 COL VEXILO BIANCO E VERDE E COI RAPRESENTANTI DE LE CONTRA' DE TRASTEVERE: I FASOLARI, I BOCALOTI,..CON DE CAO EL SINDACO DE LA CITA' DE VICENXA.




by renato de paoli



ANNETTE RONCHIN SETEMBRE MMX

martedì 24 agosto 2010

mercoledì 18 agosto 2010

DANTE XVIII E XIX CANTO TERZA CANZON TRADUZIONE VENETA RENATO DE PAOLI

III cantica Paradiso
CANTO XVIII
Già si godeva solo del suo verbo
Zà me godea scoltar el so parlar
quello specchio beato, e io gustava
in che l’acua che se se speia beati , e mi gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo; 3
el mio, misciando col dolze con el garbo;
e quella donna ch'a Dio mi menava
e quela dona che a Dio me menava
disse: «Muta pensier; pensa ch'i' sono
l'a dito: “Cambia pensier; pensa ci son mi
presso a colui ch'ogne torto disgrava». 6
da quel che ogni torto disgravava
Io mi rivolsi a l'amoroso suono
Mi me son girà a l’amoroso sonar
del mio conforto; e qual io allor vidi
del me conforto; e quelo mi o alora visto
ne li occhi santi amor, qui l'abbandono: 9
nei oci sani amor, qua bandonè
non perch'io pur del mio parlar diffidi,
no parchè a,del me parlar no fidarte
ma per la mente che non può redire
ma par el me zervel che nol pol ridar
sovra sé tanto, s'altri non la guidi. 12
sora lu steso, se altri no lo guida.
Tanto poss'io di quel punto ridire,
Tanto posso mi de chel ponte ridar,
che, rimirando lei, lo mio affetto
.che , guardandola piasè olte ela, el me volerghe ben
libero fu da ogne altro disire, 15
libaro l’è sta da ogni oia,
fin che 'l piacere etterno, che diretto
fin che’l piaser eterno, che drito
raggiava in Beatrice, dal bel viso
slusea in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto. 18
me contentava de vedarla de schena.
Vincendo me col lume d'un sorriso,
Venzendo mi col lumin de un ridar apena
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
ela la ma dito: “ Girete e scolta;
ché non pur ne' miei occhi è paradiso». 21
che l’è anca nei me oci gh'è el paradiso”.
Come si vede qui alcuna volta
Come se vede qua qualche olta
l'affetto ne la vista, s'elli è tanto,
el volerse ben nei ioci, sel gh’è se leze tanto ben
che da lui sia tutta l'anima tolta, 24
che da lu sia tuta l’anima se speia,
così nel fiammeggiar del folgór santo,
cosita nel brusar del fogo santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
anca mi me son oltà, e riconosuo la oia
in lui di ragionarmi ancora alquanto. 27
in lu de ragionar mi ancora asè.
El cominciò: «In questa quinta soglia
Lu la scumizià: “ In questa quinta soia
de l'albero che vive de la cima
de l’albaro che vive la in zima
e frutta sempre e mai non perde foglia, 30
gh’è fruta sempre e mai nol perde foia,
spiriti son beati, che giù, prima
spiriti i’è beati, che zò, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
che i vegnese al ziel , fora sbraiando
sì ch'ogne musa ne sarebbe opima. 33
cosita che ogni musa ne saria otima.
Però mira ne' corni de la croce:
Però guarda ni corni de la croce:
quello ch'io nomerò, lì farà l'atto
.quelo che mi nominarò, lì el farà l’atto
che fa in nube il suo foco veloce». 36
che fa in te le nuvole el so fogo descanta”
Io vidi per la croce un lume tratto
Mi ho visto par la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè, com'el si feo;
dal mar sluse, come lu el sa speià:
né mi fu noto il dir prima che 'l fatto. 39
né mi o savù el dir prima che lavese fato.
E al nome de l'alto Macabeo
E al nome de l’alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
o visto moarse n’antro girando a torno.
e letizia era ferza del paleo. 42
e letizia l’era a forza del palo. (dela barca)
Così per Carlo Magno e per Orlando
Cosita par Carlo Magno e par Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
du ne vegnù drio al me guardar atento
com'occhio segue suo falcon volando. 45
come un ocio va drio al so falco volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
Dopo ha tirà su Guglielmo e Rinoardo
e 'l duca Gottifredi la mia vista
.el barcarolo Gottifredi el ma visto
per quella croce, e Ruberto Guiscardo. 48
par quela crosara, e Ruberto Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista,
Cosita, tra le altre luci muta e mistica,
mostrommi l'alma che m'avea parlato
.la ma fato vedar l’anima che m’avea parlà
qual era tra i cantor del cielo artista. 51
qual’ era tra i cantadori del ciel artista. (piasè brao)
Io mi rivolsi dal mio destro lato
Mi me son rivolto dala  me parte drita
per vedere in Beatrice il mio dovere,
par vedar in Beatrice el me dover
o per parlare o per atto, segnato; 3.18.54
o par parlar o par ato, che savene meso d’acordo;
e vidi le sue luci tanto mere,
e mi o visto le so luci in tanto mare, (burioli – fari)
tanto gioconde, che la sua sembianza
tanto zxsugatolose, che la someiava pare
vinceva li altri e l'ultimo solere.3.18 57
venzar i’altri e l’ultimo sol.
E come, per sentir più dilettanza
E come, par sentir piasè piaser
bene operando, l'uom di giorno in giorno
.ben laorando , l’omo de giorno in giorno
s'accorge che la sua virtute avanza, 60
s’incorze che la so virtù la deventa piasè granda,
sì m'accors'io che 'l mio girare intorno
cosita mi me son incorto che el me girar intorno
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
col cel insieme era cresù l’arco (del me saver)
veggendo quel miracol più addorno. 63
vedendo ch’el miracolo piasè ben.
E qual è 'l trasmutare in picciol varco
E quando è cambià un picolo buso
di tempo in bianca donna, quando 'l volto
.de tempo in bianca dona, quando la facia
suo si discarchi di vergogna il carco, 66
sua se va via la vergogna el carico,
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
l’è sta tanto nei me oci , quando me son oltà.
per lo candor de la temprata stella
par el bianco del la savea tanto assè stela
sesta, che dentro a sé m'avea ricolto. 69
sesta, che drento a ela m’avea catà su.
Io vidi in quella giovial facella
Mi o visto quela zoena butela
lo sfavillar de l'amor che lì era,
Mi de fogo de l’amor che lì l’era
segnare a li occhi miei nostra favella. 72
.se vedea nei me oci che con quei parlava.
E come augelli surti di rivera,
E come osei vegnoi su dala riva,
quasi congratulando a lor pasture,
quasi ghe fasea i complimenti par come i’era messe,
fanno di sé or tonda or altra schiera, 75
fase de lore ora in giro tondo ora in alta schierà,
sì dentro ai lumi sante creature
si drento ai ciare sante creature
volitando cantavano, e faciensi
volando le cantava, e le se fasea
or D, or I, or L in sue figure. 78
ora (a forma) D ora I, ora L le so figure.
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
Prima, cantando, ala so nota se moea;
poi, diventando l'un di questi segni,
dopo , deventando tuto uno de sti segni,
un poco s'arrestavano e taciensi. 81
un poco se fermava e le tasea.
O diva Pegasea che li 'ngegni
O diva Pegasea che li te ghe ingegni
fai gloriosi e rendili longevi,
fai gloriosi e fai che i dura asè,
ed essi teco le cittadi e ' regni, 84
e lori ale to città e i regni
illustrami di te, sì ch'io rilevi
fame vedar de ti , cossì che mi scriva
le lor figure com'io l'ho concette:
le so figure come mi le o viste:
paia tua possa in questi versi brevi! 87
anca ti te posi (vedarle) in sti curti versi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
Mostarame donche in zinque olte sete
vocali e consonanti; e io notai
vocali e consonanti; e mi o innotà
le parti sì, come mi parver dette.3.18. 90
.le parti sì, come me par de avervel dite.
'DILIGITE IUSTITIAM', primai
DILIGITE IUSTITIAM’, (N’DE’ DRIO AL GIUSTIZIA), prima
fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;
era la parola e el nome de tuta la pitura;
'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai. 93
‘QUI GIUDICATI IN TERRA’ ti te sarè.
Poscia ne l'emme del vocabol quinto
Dopo ne la M del vocabolo quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
.gh’è restà ordina; cosita che Giove
pareva argento lì d'oro distinto. 96
parea argento l’ì d’oro preciso.
E vidi scendere altre luci dove
E o visto vegner zo altre luci da in doe
era il colmo de l'emme, e lì quetarsi
.era el colmo de la eMMe, e lì questarse
cantando, credo, il ben ch'a sé le move. 99
cantando , credo , el ben che a lu ele sa moarse.
Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi
Dopo, come nel sbatar dei i’oci arsi
surgono innumerabili faville,
vegnea fora asè sginze,
onde li stolti sogliono agurarsi, 102
cosita quei che no capise gnente i se augura,
resurger parver quindi più di mille
rivegner fora parea piasè de mile
luci e salir, qual assai e qual poco,
luci e vegner su , l’acua asè e l’acua poca,
sì come 'l sol che l'accende sortille; 105
si come el sol che i’è impiza le ven fora;
e quietata ciascuna in suo loco,
e quieta ogni una nel so posto,
la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi
la testa e el col de na anguila o visto
rappresentare a quel distinto foco. 108
parea che da l’acoa vegnese fora el fogo.
Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi;
Quei che pitura l’i, no i ga maestri;
ma esso guida, e da lui si rammenta
ma lori guida, e da lori i se ricorda
quella virtù ch'è forma per li nidi. 111
ch’ela virtù che forma i lidi.
L'altra beatitudo, che contenta
Che l’altra beatitudine, che contenta
pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,
parea prima dei gigli inghirlandè a fogo eMMe,
con poco moto seguitò la 'mprenta. 114
moendose poco ì’è n’dè vanti nel far.
O dolce stella, quali e quante gemme
O dolzxse stela, quale e quante geme
mi dimostraro che nostra giustizia
Meto fato vedar che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme! 117
.fa effetto sia del cel che ti te si na gema!
Per ch'io prego la mente in che s'inizia
Par che mi prego el zervel che el scumizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
(vegner drio) al to moarse e ala to virtù, che re mira
ond'esce il fummo che 'l tuo raggio vizia; 120
da indoe ven fora el fumo che la to fiacola stiza; (stizar el fogo)
sì ch'un'altra fiata omai s'adiri
cosita che n’altra vampa ormai se irrabia
del comperare e vender dentro al templo
del crompar e vendar drento al tempio
che si murò di segni e di martìri. 123
che sa murà de segni e de martiri.
O milizia del ciel cu' io contemplo,
O militari del ciel che mi rimiro,
adora per color che sono in terra
adora par color che son par tera
tutti sviati dietro al malo essemplo! 126
tuti va drio al catio espempio!
Già si solea con le spade far guerra;
Zà se era usi con le spade far guera;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
.ma adeso se fa tirando via adeso qua indo te vivi
lo pan che 'l pio Padre a nessun serra. 129
el pan che el pio Pare a nesun ghe nega.
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
Ma ti che solo par scancelar scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
Pensa che Piero e Paolo, che i’è morti
per la vigna che guasti, ancor son vivi. 132
.par la vegna che (scatenò) guerra, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: «I' ho fermo 'l disiro
Ben ti te polo dir:”Mi fermo la oia
sì a colui che volle viver solo
.cosita a quel che a volù vivar da lu lu solo
e che per salti fu tratto al martiro, 135
e che par i’altri le sta tirà al martirio,
ch'io non conosco il pescator né Polo».
Che mi no conoso el pescador né Palo”.

MMMMMMMMMMMMMMM

3.19.
Paradiso
CANTO XIX
Parea dinanzi a me con l'ali aperte
Se parava davanti a mi con le ale verte
la bella image che nel dolce frui
.la bella immagine che del dolze o godù
liete facevan l'anime conserte; 3
goder fasea l’anime seriose;
parea ciascuna rubinetto in cui
parea ogni una rubinetto in doe
raggio di sole ardesse sì acceso,
i rai del sole brusese cosita asè, (arcobaleno)
che ne' miei occhi rifrangesse lui. 6
che ne i’ me oci se rifletea lu.
E quel che mi convien ritrar testeso,
E quel che me convien tirarme indrio disteso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
no l’a mai dito gnente , né scrito inchiostro,
né fu per fantasia già mai compreso; 9
né l’è sta par fantasia zà mai capio;
ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro,
che mi o visto e anca lu l’a sentio parlar el rostro (del la barca)
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
e sonar ne la oze e “mi” e “ mio”,
quand'era nel concetto e 'noi' e 'nostro'. 12
quando l’a capio (la cambia’) “noantri” è “nostro”.
E cominciò: «Per esser giusto e pio
E l’à scumizià:” Par esar giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
. son mi qua e saltà a quela gloria
che non si lascia vincere a disio; 15
che no lasava venzar dala oia;
e in terra lasciai la mia memoria
e in tera lasava la me memoria (no el pensava che scrivese)
sì fatta, che le genti lì malvage
fatta cosita , che la gente li cativa assè
commendan lei, ma non seguon la storia». 18
comanda ela , ma no ghe va drio storia”.
Così un sol calor di molte brage
Cosita un sol caldo de tante brase
si fa sentir, come di molti amori
se fa sentir, come de tanti amori
usciva solo un suon di quella image. 21
vegnea fora solo na musica da quela immagine.
Ond'io appresso: «O perpetui fiori
Alora mi da vizin: “O durè par sempre fiori
de l'etterna letizia, che pur uno
.de l’eterna godar -star ben, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori, 24
parer me fe tuti i vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
me desfo, nasando, el gran digiuno
che lungamente m'ha tenuto in fame,
che da tanto tempo m’a tegnù in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno. 27
no catando li par tera nesun magnar
Ben so io che, se 'n cielo altro reame
Ben so mi che, se ‘n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
la divina giustizia fa so speio,
che 'l vostro non l'apprende con velame. 30
ch’el vostro no me ciapa scondendomelo.
Sapete come attento io m'apparecchio
Savì vu come speto e mi me preparo
ad ascoltar; sapete qual è quello
. scoltar ; savì vu qual che l’è
dubbio che m'è digiun cotanto vecchio». 33
mia sicuro che el me digiuno cosità da tanto tempo”.
Quasi falcone ch'esce del cappello,
Quasi come un falco che ven fora dal capel,
move la testa e con l'ali si plaude,
moe la testa e con le ale se bate le man,
voglia mostrando e faccendosi bello, 36
voia mostradose e fasendose belo,
vid'io farsi quel segno, che di laude
o visto mi ch’el segno , che de piaser
de la divina grazia era contesto,
de la divina grazia l’era caipà,
con canti quai si sa chi là sù gaude. 39
con canti che se sa ci la su gode. (monte di venere)
Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
Dopo la scumizià: “ Quel che a girà el seto ( o el zesto)
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
. indoe finise el mondo , e drento a lu
distinse tanto occulto e manifesto, 42
l’a zernio tanto quel che no se sa e quel che sa tuti,
non poté suo valor sì fare impresso
no el podea el so valor farlo cosita impressia
in tutto l'universo, che 'l suo verbo
in tuto l’universo , ch’ el so parlar
non rimanesse in infinito eccesso. 45
no restese ala fine massa asè.
E ciò fa certo che 'l primo superbo,
E quelo fa de sicuro che ‘elprimo sbrofon
che fu la somma d'ogne creatura,
che l’è sta el piasè groso de ogni creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo; 48
par no spetar de saver, l’è cascà garbo;
e quinci appar ch'ogne minor natura
e alora ven fora che ogni piasè picola natura
è corto recettacolo a quel bene
l’è curto buso a ch’el ben
che non ha fine e sé con sé misura. 51
che no gà fine da lu con lù se misura.
Dunque vostra veduta, che convene
Donche da in do vedì vulatri, che convien
esser alcun de' raggi de la mente
.essarghe qualche raio par el zervel
di che tutte le cose son ripiene, 54
de che tute le robe i’è impenie,
non pò da sua natura esser possente
no pol da lu lu solo (par conto suo) essar ciosso
tanto, che suo principio discerna
tanto, che al so scumizio zerne
molto di là da quel che l'è parvente. 57
tanto de là da quel ch’ el è par
Però ne la giustizia sempiterna
Però ne la giustizia sempre eterna
la vista che riceve il vostro mondo,
la vista che riceve el vostro mondo,
com'occhio per lo mare, entro s'interna; 60
come un’ocio par el mar , drento el va drento
che, ben che da la proda veggia il fondo,
che, ben che da la prua se veda el fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
in tel pelago nol vede, e tanto manco
èli, ma cela lui l'esser profondo. 63
lori, ma sconde lu l’esar (quanto) fondo.
Lume non è, se non vien dal sereno
Buriolo no è, se no vien dal sereno
che non si turba mai; anzi è tenebra
che no el se scurisa mai; anzi è col scuro
od ombra de la carne o suo veleno. 66
o ombra de la carne o so velen.
Assai t'è mo aperta la latebra
Tanto asè te ghè paura in mar aperto col scuro
che t'ascondeva la giustizia viva,
che te scondea la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra; 69
de quel fasei question con tanto pensarghe;
ché tu dicevi: "Un uom nasce a la riva
che ti disei: “Un omo nase e la riva
de l'Indo, e quivi non è chi ragioni
de l’Indo , e qva no è che el ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva; 72
de Cristo né che leza né che scriva;
e tutti suoi voleri e atti buoni
e tuti so voleri e ati boni
sono, quanto ragione umana vede,
i’è , quando reson umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni. 3.18.75
senza pecato in vita o in ciacole.
Muore non battezzato e sanza fede:
More no batezà e senza fede:
ov'è questa giustizia che 'l condanna?
induela sta giustizia che l’è condana?
ov'è la colpa sua, se ei non crede?" 78
in duela la colpa sua, se lu nol ghe crede?
Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna,
Alora, sù ti che te sé, che te vol sentarte in scano, (a far da maestro)
per giudicar di lungi mille miglia
Par giudicar da distante mille miglia
con la veduta corta d'una spanna? 81
.vendendo curto come na spana?
Certo a colui che meco s'assottiglia,
Sicuro a quel che con mi (ragiona) fin
se la Scrittura sovra voi non fosse,
se la Scritura sora vualtri no fusse,
da dubitar sarebbe a maraviglia. 84
da dubitar saria a maraveia.
Oh terreni animali! oh menti grosse!
O tereni animali! O zervei gossi!
La prima volontà, ch'è da sé buona,
La prima volontà, chl’è da ela sola bona,
da sé, ch'è sommo ben, mai non si mosse. 87
.da ela stessa, che al massimo ben, mai no la sa mosso.
Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
Cosita tanto l’è giusto quando a ela se adata:
nullo creato bene a sé la tira,
gnente è sta fato ben se el se tira par sé,
ma essa, radiando, lui cagiona». 90
ma ela , n’dando fora, lu ghe ven fora”.
Quale sovresso il nido si rigira
Qual elo sora el nial se gira
poi c'ha pasciuti la cicogna i figli,
dopo che l’à sfamà la cicogna i fioi,
e come quel ch'è pasto la rimira; 93
e come ch’el pasto ciapa la mira;
cotal si fece, e sì levai i cigli,
cosita tal sa fato , e sa arlevà i fioi,
la benedetta imagine, che l'ali
la bene-dita imagine, che le ale
movea sospinte da tanti consigli. 96
moea urtè da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea: «Quali
Girando cantava , e disea : “ Quale
son le mie note a te, che non le 'ntendi,
ele le me note a ti, che no te me capisi,
tal è il giudicio etterno a voi mortali». 99
cosita l’è el giudizio eterno a vualtri che morì”.
Poi si quetaro quei lucenti incendi
Dopo che sa smorzà ch’ei slusenti burioli
de lo Spirito Santo ancor nel segno
.de lo Spirito santo ancora nel segno
che fé i Romani al mondo reverendi, 102
che se fa i Romani al mondo reverendi,
esso ricominciò: «A questo regno
lu la scumizià da novo:” A sto regno
non salì mai chi non credette 'n Cristo,
no è n’d’à su mai ci no ha creduo in Cristo,
né pria né poi ch'el si chiavasse al legno. 105
né prima né dopo che i lo inciodese al legno.
Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!",
Ma vedito: tanti sbraia “ Cristo, Cristo!”,
che saranno in giudicio assai men prope
.che i sarà in giudizio tanto de manco proprio
a lui, che tal che non conosce Cristo; 108
a lu, che tale che no cose Cristo;
e tai Cristian dannerà l'Etiòpe,
e dai Cristiani danarà l’Etiope,
quando si partiranno i due collegi,
quando se dividarà e du colegi,
l'uno in etterno ricco e l'altro inòpe. 111
uno in eterno sior e che l’altro (che no fa mai gnente - inoperoso ) pitoco.
Che poran dir li Perse a' vostri regi,
Che podaria dir li Persi i vostri regni,
come vedranno quel volume aperto
.come vedarà ch’el libro verto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 114
nel qual se scrive tuti suoi difeti?
Lì si vedrà, tra l'opere d'Alberto,
Lì se vedarà, tra le opere de Alberto,
quella che tosto moverà la penna,
quela che alora moea la pena
per che 'l regno di Praga fia diserto. 117
par ch’el regno de Praga sia deserto.
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
Lì se vedarà el lamento de sora Senna (Parigi)
induce, falseggiando la moneta,
se fa, falsificar i schei,
quel che morrà di colpo di cotenna. 120
quel che copà con un colpo nel col.
Lì si vedrà la superbia ch'asseta,
Li se vedarà la sbrofoneria  che gà gran sè,
che fa lo Scotto e l'Inghilese folle,
che fa lo Scotto e l’Inglese mato,
sì che non può soffrir dentro a sua meta. 123
così che no pol sofrir drento a la so meta.
Vedrassi la lussuria e 'l viver molle
Se vedarà la lusuria e el vivar molo
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
de quel de Spagna e de quel de Boemia
che mai valor non conobbe né volle. 126
che mai valor no a conosuo né voluo.
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
Se vedrà tal Ciotto de Gerusalemme
segnata con un i la sua bontate,
segnà con na I el so voler ben,
quando 'l contrario segnerà un emme. 129
quando al contrario segnarà na M.
Vedrassi l'avarizia e la viltate
Se vedarà l’avarizia e la vigliacheria
di quei che guarda l'isola del foco,
de quei che guarda l’isola del fogo,
ove Anchise finì la lunga etate; 132
indoe Anchise la finio la longa istà;
e a dare ad intender quanto è poco,
e a dar a intendar quanto l’è poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
el so scrivar sia letare taiè,
che noteranno molto in parvo loco. 135
che i guardarà asè in pitoco loco.
E parranno a ciascun l'opere sozze
E pararà a ogni uno le opere sporche-onte
del barba e del fratel, che tanto egregia
del barba  e del frate, che tanto fata ben
nazione e due corone han fatte bozze. 138
nazion e do corone i’à fato bruta copia.
E quel di Portogallo e di Norvegia
E quel de Porto-galo e de Norvegia
lì si conosceranno, e quel di Rascia
.lì si se conosarà, e quel del Raisà
che male ha visto il conio di Vinegia. 141
che mal a visto il conio di Venetia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia
O beata Ungheria, se no se lasa
più malmenare! e beata Navarra,
più impenir de bote! E beata Navarra,

se s'armasse del monte che la fascia! 144
se la se armese del monte che la circonda!
E creder de' ciascun che già, per arra
E credar de ogni uno che zà , in giro
di questo, Niccosia e Famagosta
de sto , Nicosia e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra, 147
par la so bestia se lamenta e rabiosi,
che dal fianco de l'altre non si scosta».
che dal fianco de chele altre (nazion) no la se sposta”.

fine XIX canto, III Cantica (paradiso)

Renato De Paoli Maddalena Severino Massoni clitoride

Rita Hayworth - Trinidad Lady from Affair In Trinidad (1952)

RENATO DE PAOLI CON EL LUNARIO VENETO VENEXIA 2010 1796 DEL LEON

Renato De Paoli legge dante XVII canzone 3^ cantica (Paradiso)